Oggi vogliamo parlarvi di una storia di orgoglio che ha una radice storica e politica.
Il pride non è una carnevalata in cui sfogare i più reconditi istinti, ma un giorno di memoria di quella che, nel 1969 a New York, fu una vera e propria rivolta durata cinque lunghi giorni e che prende il nome di “moti di Stonewall”.
Prima di tutto va specificato che negli anni 70’ negli Stati Uniti (e non solo), l’omosessualità era illegale e questo comportò la nascita di diversi apparati associativi che avevano chiaramente lo scopo di sostenere la comunità gay e lottare contro le diverse forme di discriminazione agite sulla stessa.
Nel 1969 Leo E. Laurence e Gayle Whittington fondarono un nuovo comitato per i diritti omosessuali il Committee for Homosexual Freedoom (CHF), dopo essere stati licenziati a seguito di una fotografia che li ritraeva abbracciati. Wittman, uno degli ativisti del CHF redasse il “Refugees from Amerika: A Gay Manifesto”. Considerato un testo molto importante per la liberazione delle persone omosessuali.
Link Manifesto: https://www.historyisaweapon.com/defcon1/wittmanmanifesto.html
Era anche il periodo questo in cui era divenuto di nuovo legale servire alcolici alla persone omosessuali, cosa vietata fino al 1966. È tenendo conto di tutto questo che dobbiamo inserire la rivolta che ha sancito una data di inizio del pride. Le identità delle persone LGBTQIA+ erano completamente mutilate e i gay bar erano l’unico modo per esistere e resistere.
Lo Stonewall Inn, lo storico locale da cui partì la rivolta e che dà il nome ai moti di Stonewall appunto, era uno dei locali preferiti della comunità perché era un luogo in cui si poteva anche ballare, oltre che bere. In questo scenario va specificato un fatto molto rilevante nella costruzione della nostra storia: la mafia.
Molti dei locali e bar gay erano infatti proprietà di famose famiglie mafiose che avevano visto nella comunità un profitto. Avevano infatti accordi segreti con poliziotti corrotti che usavano fare retate serali organizzate per sancire il loro potere gerarchico in una società omofoba.
Insomma le persone dissidenti che frequentavano questo tipo di locali erano anche abbastanza preparate a queste violenze quotidiane. Per questo la retata del 28 giugno del 1969 sancì una fine e un inizio, per la sua natura più violenta e discriminante rispetto al solito.
Due figure chiave di questo evento furono Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera, attivista drag queen e donna trans, che divennero anche i volti di riferimento di questa grande rivolta. Uno degli slogan più usati durante queste giornate era “gay power” da cui si è poi ispirato il nome “gay pride” per nominare il giorno di memoria dei fatti accaduti allo Stonewall Inn.
Le conseguenze di questa rivolta furono le più rilevanti mai conquistate per l’intera comunità fino ad allora, nacquero diverse associazioni e diversi gruppi a sostegno dei diritti omosessuali, in un’ottica di rivolta e lotta politica quotidiana. Cominciarono le prime “marce” in memoria di questo giorno, a San Francisco, Chicago e Los Angels e la prima versione della bandiera arcobaleno fu realizzata proprio per la parata da un’artista di San Francisco su richiesta di uno degli attivisti più importanti della scena Americana omosessuale: Harvey Milk.
In Italia il primo pride ufficiale si è svolto nel 1994 a Roma, ben 24 anni dopo i fatti accaduti a New York.
L’11 giugno 1999 Bill Clinton ha proclamato il mese di giugno il “Gay and Lesbian Pride Month”, rinominato poi da Barack Obama nel 2009 come il “Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Pride Month”.
Il pride è un evento importantissimo per la comunità, non solo per l’affermazione delle nostre esistenze e resistenze, ma anche per la capacità trasformativa tipica dell’evento che si adatta alle nostre identità ed esigenze, in un’ottica intersezionale. O almeno noi così vorremo festeggiare questo mese, tenendo conto di tutti i livelli di complessità che caratterizzano le identità LGBTQIA+ e in generale le identità tutte, perché è solo nell’intersezione delle lotte che può esistere un’esistenza davvero inclusiva per tutte, tutti e tuttu.